Che cos’è lo stalking?
Il reato di stalking (più correttamente, “atti persecutori”) previsto e punito dall’art. 612 bis c.p. risulta oggigiorno uno dei delitti più diffusi e socialmente allarmanti, rispetto al quale occorre prestare la massima attenzione, considerati i rischi per la vita e l’incolumità delle vittime.
Prima di dare alcuni consigli utili a chi intende tutelarsi dal proprio persecutore, occorre capire se ci si trova davvero innanzi ad un fenomeno di stalking.
Dal 2009 ha trovato ingresso anche in Italia il c.d. reato di “stalking” (dall’inglese to stalk, ossia braccare, pedinare), finalizzato a reprimere la condotta di soggetti ossessionati da una persona per i più svariati motivi (affettivi ma non solo).
Quali sono i requisiti per poter ritenere integrato il reato di stalking?
1. perdurante e grave stato di ansia o di paura: prescinde dall’accertamento di uno stato patologico e si è ritenuto sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima (Cass. Pen. n. 42953/11), desumibile da elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della stessa persona offesa dal reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche dall’astratta idoneità di tale condotta a causare l’evento (Cass. Pen. n. n. 25405/16).
2. fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva: anche qui occorre accertare la concretezza e l’oggettività della situazione di paura vissuta dalla vittima, attraverso testimonianze o facendo riferimento all’astratta idoneità della condotta a causare timore; è ovvio, ad esempio, che tale idoneità può ravvisarsi in presenza di reiterate minacce all’incolumità della vittima.
3. alterazione delle proprie abitudini di vita: quando la condotta illecita costringe la vittima a cambiare le proprie abitudini, come quando si costretti a utilizzare accorgimenti per evitare il contatto col proprio persecutore o per tutelare la propria ed altrui incolumità. Al riguardo, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Cass. Pen. n. 24021/14).
CONSIGLI: l’indicazione principale è quella di rivolgersi senza ritardo alle forze dell’ordine, dotate di personale specializzato per dare consigli e, nel caso, per intervenire con prontezza e scongiurare il peggio. Se la situazione non è grave e si ritiene che non sia ancora il caso di denunciare il proprio persecutore, si possono eventualmente adottare alcuni preventivi accorgimenti, ricordandosi però di non aspettare troppo tempo e di non tollerare comportamenti aggressivi e minacciosi. La situazione, infatti, potrebbe aggravarsi, soprattutto quando il persecutore si accorge della rassegnazione della vittima. La passività infatti non paga, ma, anzi, può rafforzare l’intento criminoso.
A. nei casi di atti persecutori da ritenersi lievi e ancora non particolarmente allarmanti o fastidiosi, si consiglia comunque di prendere immediate accortezze. In particolare, se non si vuole ancora adire le vie giudiziarie, è possibile inoltrare all’interessato una diffida scritta, con lettera raccomandata (eventualmente con l’ausilio di un avvocato), in cui evidenziare i comportamenti molesti e intimidatori subiti e richiedere la rimozione di eventuali post e scritti diffamatori pubblicati sui Social Networks.
B. quando la diffida non funziona, ma non si vuole ancora denunciare penalmente i fatti, la legge prevede lo strumento dell’ammonimento del Questore, ossia un provvedimento amministrativo disciplinato dall’art. 8 del Decreto Legge n. 11/2009, che può essere invocato dalla vittima:
1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, […], la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni.
N.B. Ai fini dell’ammonimento non è richiesta la piena prova della responsabilità dell’ammonito, potendo il provvedimento trovare sostegno in un quadro istruttorio da cui emergano, anche su un piano indiziario, eventi che introducono vulnus alla riservatezza della vita di relazione o, su un piano anche solo potenziale, all’integrità della persona (C. St., Sez. III, 7.9.2015, n. 4127).
N.B. L’ammonimento è privo di effetti per colui che viene avvisato a condizione che cessi ogni condotta persecutoria; in caso contrario, si procederà contro il predetto d’ufficio e l’eventuale pena sarà aggravata.
N.B. Non commette il delitto di calunnia la persona offesa del reato di atti persecutori che, non avendo presentato la querela, nel sollecitare l’ammonimento dell’autore del reato, renda dichiarazioni eventualmente non veritiere a suo carico (C., Sez. VI, 24.2-14.3.2011, n. 10221).
Il reato di stalking prevede una pena che può oscillare tra i sei mesi e i cinque anni di reclusione, ma in alcuni casi si assiste a un deciso inasprimento della sanzione:
1. aumento di pena fino a un terzo:
a. se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa
b. se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici
c. se il fatto è commesso da soggetto già ammonito dal Questore.
2. aumento di pena fino alla metà e carcere (l’ordine di carcerazione non può essere sospeso ex art. 656/5° c.p.p.): se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità (art.3 L. 104/1992), ovvero con armi o da persona travisata.